mercoledì 18 ottobre 2017

#metoo #quellavoltache

Sono impressionata dal numero di bloggers che seguo che ha postato la propria personale storia di orrore preceduta dall'hashtag #metoo o #quellavoltache. 
Sono impressionata per la percentuale: su circa 30 blog che seguo di argomento non culinario, quasi sulla metà è apparso un articolo legato a questa iniziativa! Quante sono le donne che hanno subito molestie, in un qualche momento della loro vita? 

In una delle loro storie, l'autrice si chiede quante siano invece le donne che tacciono, che non ne parlano, per vergogna o paura. 
Oggi ho deciso di raccontare la mia storia, per non fare più parte di questo inquantificabile e invisibile gruppo.

Come a molte altre donne, anche a me è capitato di ricevere apprezzamenti non richiesti per strada o manate sull'autobus, specie quando era molto pieno.
Questi però sono episodi momentanei, durano un secondo, e pur non giustificandoli affatto non sono tali da farmi stare male, mi scivolano addosso come acqua su di un impermeabile.

L'episodio che volevo raccontare oggi è diverso e molto più lontano, troppo lontano negli anni, fino a raggiungere un'età in cui nessuno mai avrebbe dovuto sfiorarmi.
Era il 1988, avevo sei anni.
Mi piacevano i fiori, i colori e fare le cornicette in fondo alle pagine del quaderno.
Frequentavo la seconda elementare in una nota scuola privata e nella mia classe c'era un bambino particolare. Era molto intelligente e sembrava più grande dei suoi sette anni. Era irrequieto e faceva fatica a stare fermo nel banco, era solito mentire e rubava piccoli oggetti, se li trovava in giro. Oggi un bambino così avrebbe un sacco di diagnosi, deficit di attenzione e iperattività e chissà cos'altro, ma era la fine degli anni '80, queste cose non venivano indagate in modo approfondito come si fa oggi, ed era bollato semplicemente come "irrequieto".
Una mattina stava parlando con due miei compagni di classe, e sentii volare la parola "tette", di cui ignoravo il significato.
Un paio di giorni dopo, poco prima dell'ora di pranzo, la maestra ci stava mandando in bagno a due a due, un bambino e una bambina, a lavarci le mani prima di andare a tavola. Il bagno dei maschi era attaccato a quello delle femmine.
Ricordo che stavo facendo pipì, quando lui è entrato e mi ha messo le mani addosso. Le ha infilate sotto la canottiera, dentro alle mutandine, senza che io avessi anche solo una vaga idea di cosa stesse succedendo.
Ricordo i suoi commenti, che non erano per nulla quelli di un bambino.
Ricordo la sua lingua nella mia bocca, l'odore, il luccichio nei suoi occhi. E' durato minuti interminabili, finchè non sono riuscita a strapparmi quelle mani di dosso, a divincolarmi e a scappare in classe, con lui che mi inseguiva cercando di riacchiapparmi.
- Ce ne avete messo, di tempo! - ci ha detto la maestra, quando finalmente ho raggiunto la porta dell'aula.

Ritengo di essere stata fortunata, in quanto un bambino di sette anni non può avere un'erezione, quanto meno non come un adulto. Altrimenti sarebbe andata molto peggio.
L'anno seguente, per motivi diversi, cambiai scuola. La prima (e unica) persona a cui ne ho parlato è stato mio marito.
Anzi, se mi conoscete personalmente, per favore non dite nulla ai miei genitori a riguardo. Servirebbe solo a sconvolgerli.
Oggi che sono adulta mi interrogo anche su cosa fosse successo a quel bambino, per renderlo così. Oggi con i cellulari e internet certi contenuti sono molto più accessibili, ma all'epoca tutto questo non esisteva. Mi chiedo se per caso non abbia subito violenze anche lui, e questa è l'unica ragione per cui ne nascondo il nome.

Uno dei motivi per cui volevo raccontare questa storia è che non ne ho mai letta una simile. Non sono sicuramente l'unica ad aver subito un'esperienza del genere, eppure quando si parla di abusi sessuali sui bambini si è sempre portati a pensare che l'orco sia un adulto.
Non è così. Se avete dei figli, non è mai troppo presto per parlare loro di cos'è l'abuso.
Fatelo, vi prego. Parlate alle vostre figlie, dite loro che nessuno ha il diritto di toccarle contro la loro volontà.
E se siete genitori di un maschio, insegnategli il rispetto. Non è mai troppo presto per cominciare.

martedì 17 ottobre 2017

Di pensieri sparsi e nostalgia

21 Novembre 2006, ore 11

L'aula è gremita, il tailleur è stretto, ho l'impressione che contenga a stento i battiti del mio cuore. Ansia. Ora tocca a me. La commissione ha tra le mani una copia della mia tesi - rilegata e con la copertina rossa - e se la passano l'un l'altro, mentre parlo. 
Poi la professoressa Martelli di Farmacologia si alza e mi dice:
- La sua tesi rasenta l'eccellenza. 
Mi rilasso di colpo. Poi il presidente dice "110/110 e lode" e mi sento leggerissima, quasi mi sembra di volare.
Me la ricordo così la mia laurea, quasi undici anni fa.

13 Ottobre 2017, ore 22

Sto tornando a casa dal lavoro e sono esausta. Chissà perchè mi è venuto in mente il giorno della laurea, con tutto quello a cui dovrei pensare. Il trasloco, sì. E tutto il resto, le utenze, il cambio di contea dei gatti, tutta la burocrazia. E il dover salutare tutte le persone che conosco qui. Certo, 300 km non sono una distanza enorme, ma quanti verranno davvero a trovarci? e poi il dovermi licenziare dall'attuale lavoro, iniziare il lavoro nuovo, in un posto nuovo, con persone sconosciute. E poi la parte più difficile, per me che sono vagamente sociopatica: conoscere nuove persone, creare nuovi legami.

Torcina, la mia macchina ventitreenne, si arrampica sulle colline, nel buio della notte. Leggera e silenziosa come i miei pensieri.
Ho detto silenziosa? no, in effetti c'è un rumore strano. E del fumo che esce dal cofano. Mmm. E la temperatura è schizzata oltre il limite massimo della scala. Meglio accostare.
Accosto, prendo il telefono. Per fortuna c'è campo. Parlo in fretta, nel buio, con dieci miliardi di stelle che scintillano sopra la mia testa.
Due giorni dopo la macchina è dal meccanico. 
- Head gaskets blown - è la diagnosi e no, non so nulla di motori e non so tradurre "head gasket", ma è per dire che  Torcina è spacciata.
Del resto, era venerdì 13, che pretendete? :)

17 Ottobre 2017, ore 8.00

Sono senza macchina, piove e ci sono 12°C perchè qui la primavera va e viene. 
Sto andando dal meccanico per recuperare tutto quello che c'è di mio dentro Torcina. Documenti, ombrelli vecchi, maglioni, tutte quelle cose che abitualmente lascio in macchina. Arranco per la strada avvolta in un impermeabile col cappuccio. 
Il mio problema è che sono schiava dei ricordi. L'unica cosa che vorrei poter prendere da Torcina e portare via con me sono le canzoni cantate a squarciagola andando al lavoro, i momenti di auto-coscienza ad alta voce di cui lei era la sola testimone, l'ebbrezza di avere una macchina mia e di imparare a guidarci sopra. Invece devo limitarmi a raccogliere gli oggetti, il contratto di vendita nel vano porta oggetti, un maglione sul sedile posteriore, due cappelli di paglia. 
Ho finito. Cerco di allungare il più possibile quei momenti, le scatto una foto col cellulare, faccio una carezza al cofano.
- Era la mia prima macchina - spiego al meccanico, che mi guarda perplesso.
Addio Torcina, grazie di tutto.

17 Ottobre 2017, ore 11

Ora immaginate di esservi laureati con lode, che ne so, in Letteratura. Vi trasferite in un altro continente dove la vostra laurea non è riconosciuta. Non potete insegnare al liceo, ma vi danno la possibilità di insegnare l'alfabeto all'asilo. Il lavoro è frustrante e demotivante, ma bisogna pur mangiare.
Poi un giorno traslocate a 300 km da dove abitate e trovate un altro lavoro. Lo stesso che state già facendo, cioè insegnare l'alfabeto, ma c'è una novità. 
Nel vostro attuale posto di lavoro non vi hanno richiesto nessuna qualifica, però in effetti per insegnare l'alfabeto all'asilo c'è un piccolo corso di un anno. La manager del posto dove lavorate attualmente non richiede che voi abbiate questo diplomino, in quanto la vostra laurea, pur non riconosciuta, è considerata una qualifica superiore e quindi più che sufficiente.

Il nuovo manager la pensa diversamente. Cioè, potete lavorare senza diplomino, ma se non lo otterrete il vostro stipendio resterà bloccato al primo livello, non importa l'esperienza. 
Allora urge avere il diplomino. La vostra attuale manager vi dice di non preoccuparvi, di portare i documenti comprovanti la laurea presso l'istituzione che fa il corso sull'alfabeto, per chiedere una "recognition of prior learning". 
In pratica si tratta di far vedere gli esami che avete dato e chiedere se c'è la possibilità non dico di non fare il corso, ma di ottenere il riconoscimento di alcune parti.

Stamattina sono andata al TAFE, l'istituzione che si occupa del corso sull'alfabeto.
Immaginate il seguente dialogo.

- Buongiorno, le cose stanno così e così, questi sono tutti i documenti comprovanti la mia laurea, come funziona, posso farmi riconoscere qualcosa?
- Eh, non saprei. Mi faccia vedere che esami ha dato... storia della letteratura...Epistemologia... Critica comparata... filosofia della scrittura.. eh, non so.
- Come, non sa? 
- Eh, non so. Lei è laureata in Letteratura, ma io come faccio a sapere che lei sa l'alfabeto? è quello che occorre insegnare...
- Sì..ma io ho una laurea in letteratura.. cioè, ovvio che so l'alfabeto, no? 
- Eh, ma qui non c'è scritto. Manzoni, Leopardi... ma la lettera N dov'è? e la P l'ha fatta? Sa cosa viene dopo la Q?
- Senta, ma io faccio questo lavoro, questo per cui voi fate il corso, da due anni e mezzo!!
- Eh, ma magari lo stesso l'alfabeto non lo sa...

Ovviamente io mi occupo di tutt'altro, non sono laureata in Letteratura, era per fare un esempio.
La tizia comunque mi ha detto di aver spedito tutti i miei documenti nel capoluogo regionale, e lì decideranno se posso saltare almeno una parte del corso. Chissà quando e se me lo faranno sapere.
Mi immagino una cosa di questo tipo:

Gentile signora, siamo davvero contenti di aver ricevuto la trascrizione dei suoi esami. Sfortunatamente è primavera e il caminetto è spento, altrimenti ne avremmo già disposto in modo appropriato. Oh, la laurea era con lode? E' ECCEZIONALE!!! allora useremo la copia del papiro di laurea al posto della carta igienica, la prossima volta che ne avremo bisogno.
In ogni caso il corso lo deve fare per intero.
Cordiali saluti

Sono tornata a casa sotto alla pioggia, con la sensazione di avere una balena attaccata all'impermeabile.
Se invece di farmi un mazzo così con l'università (dieci anni in totale, contando che ho frequentato tre diversi corsi di laurea) avessi fatto qualcos'altro, tipo un viaggio intorno al mondo, non sarebbe stato meglio? ne avrei guadagnato in termini di esperienza di vita, probabilmente avrei visto posti interessanti e conosciuto gente nuova. In dieci anni, sai quanto avrei potuto viaggiare?
E ora mi sentirei molto più leggera. 

sabato 14 ottobre 2017

Escape to the Freaky Village

Escape to the Country è un programma britannico che mio marito ed io guardiamo spesso, un po' perchè la scelta è quella che è, un po' perchè è divertente, un po' perchè dopo tre anni di Australian English l'accento britannico suona esotico ed interessante. 

Lo schema è sempre lo stesso: c'è una coppia, di solito di arzilli e facoltosi sessantenni, che vuole traslocare dalla città alla campagna e ha delle idee ben precise riguardo a come e dove deve essere la nuova casa. Il presentatore li porta nella zona prescelta e mostra a loro tre case, di cui generalmente una carina, una oscena e una "mmm.. devo pensarci". 

Pochi giorni fa mio marito ed io abbiamo vissuto la prima puntata della nostra personale ricerca di una nuova casa e abbiamo passato la giornata facendo continui paragoni col programma di cui sopra. 

Stiamo per trasferirci in una zona a circa 300 km da dove abitiamo ora. Saremo sempre nel Bush, ma più vicini alla costa ovest del Western Australia, in un paesino di circa 500 persone che chiamerò the Freaky Village. La ragione del soprannome sta nel fatto che è un posto alternativo, dove vivono pensionati, figli dei fiori, artisti e hipster.
C'è una libreria di libri usati senza personale addetto alla vendita, in cui vai, porti un libro che non vuoi più e ne prendi un altro in cambio gratuitamente.
C'è una scuola con ben 34 alunni.
C'è un pullmino di proprietà della comunità per le "gite sociali", che una volta al mese va anche a Perth, per portare fin lì chi ne avesse bisogno.
C'è un locale vegano-biologico-buddista, dove, seduto davanti ad una statua di Buddha, puoi gustare un curry di zucca e ceci biologici cresciuti nel giardino sul retro.
C'è un mercatino settimanale di prodotti locali, la verdura biologica prodotta dai contadini, il sapone fatto in casa, la bigiotteria artigianale. C'è anche una signora che vende muffins fatti da lei.
E' un piccolo posto adorabile in mezzo alle foreste, del tipo che visiti una volta durante una gita fuori porta e pensi che bello che sarebbe vivere lì.

Poi sono successe una serie di cose, tipo mio marito ha trovato delle opportunità lì per il suo lavoro, io sono andata a fare un giro della zona armata di curriculum e due giorni dopo avevo già fatto un colloquio ed ero stata assunta, il proprietario della casa dove abitiamo attualmente ci ha fatto sapere che vuole vendere la proprietà, insomma, tutta una serie di cose ci hanno portato a pensare ad un trasloco molto prossimo.
L'unico neo del Freaky Village è che si trova in una zona molto bella e questo si traduce in affitti altissimi. Avevo già parlato di quanto sia difficile trovare qualcosa non dico di bello, ma di anche solo vagamente abitabile senza spendere cifre assurde: ovviamente quello che qui nel Paesino del Bush avrebbe avuto un prezzo diciamo modico, nel Freaky Village diventa proibitivo e non avete idea di cosa la gente abbia il coraggio di mettere in affitto: posti in cui io non terrei nemmeno le galline.

Arioso monolocale in stile vintage immerso nella natura, in affitto per soli 1.600 $ al mese.
Sì, sto scherzando, ho preso la foto su internet. Ma non pensiate che gli annunci reali siano molto meglio. 
Abbiamo quindi guardato gli annunci, chiamato le due agenzie immobiliari del Freaky Village e infine preso un appuntamento per lo scorso lunedì per visitare ben cinque case diverse (niente appartamenti nel bush, sono tutte casette unifamiliari), tre con una agenzia e due con un'altra.

Arriviamo puntualissimi alla prima agenzia, succursale di una nota catena australiana di agenzie immobiliari. L'impiegata con cui abbiamo parlato al telefono non è disponibile ad accompagnarci, perchè si è portata i figli in ufficio e deve badare a loro. Così, senza problemi. Si vede che è normale, da queste parti. Con noi viene un ragazzino probabilmente assunto il pomeriggio precedente, che non sa nulla delle case, ad ogni domanda risponde che deve chiedere e ha l'entusiasmo di un bradipo in letargo.

Ci accompagna alla prima casa, la più economica, mille dollari al mese. E' piccolissima, interamente fatta di legno, ma non legno tipo chalet svizzero: legno tipo cuccia del cane, tipo fienile, con le pareti costituite di assi di legno incollate le une alle altre, niente mattoni. Tipo che se viene un po' di vento serio crolla a terra. Il gabinetto è un casottino in giardino. Gli attuali affittuari sono una coppia sulla sessantina e sono palesemente figli dei fiori con la passione per gli incensi e lo yoga.
- Se ci trasferiamo qui, come minimo troviamo della droga nascosta da qualche parte - mi dice mio marito. Concordo, e la casa viene bocciata in partenza.

La seconda casa è accanto alla prima. Molto più grande, troppo più grande, con un sacco di stanze. Le uniche sorgenti di riscaldamento sono una stufa a legna in cucina e un caminetto in salotto, entrambi ben lontani dalle camere da letto. La casa è in fibrocemento, quella schifezza misto-amianto che utilizzavano qui per costruire alloggi economici prima degli anni '90.
- C'è dell'amianto nei muri? - chiediamo al bradipo.
- Ehm, devo chiedere - risponde lui.
Bocciata.

La terza casa non c'è che dire, è bellissima. E' fuori dal paese, è in mattoni, addirittura ha alcuni alberi da frutto. Praticamente un sogno, soprattutto se paragonata alle altre.

Poi andiamo nell'altra agenzia. La titolare, che da questo momento in poi chiamerò la Pazza, ci fa accomodare e ci dice che, purtroppo, le case che volevamo visitare sono state affittate entrambe e lei non ha pensato di avvisarci perchè tanto sapeva che saremmo venuti lo stesso per trovarne una.
Con una sola frase ho perso tutta la mia credibilità e serietà professionale.
Qualcuno le ha per caso viste?
Ci dice che però, fortunatamente, ha altre due case sottomano. Però non ha le chiavi.
- Vi accompagno a vedere i giardini - ci dice - Perchè tanto, più che la casa in sè, è importante la posizione.
E no, non ci sta prendendo in giro, parla seriamente.

Benvenuto nel nostro ristorante!
Sfortunatamente il cuoco non ha pentole, quindi non possiamo darle nulla da mangiare.
Ma venga, la accompagno a vedere la cucina.
- Poi magari guardando attraverso i vetri riuscite lo stesso a vedere dentro! - aggiunge la Pazza.

No comment. Io sto già schiumando di rabbia e sono pronta ad alzarmi e uscire senza nemmeno salutare. Cioè, siamo venuti fin qui su appuntamento e ora ci dice che le case (che erano disponibili due giorni prima) ora sono affittate? Entrambe?? e non ha ritenuto necessario avvisarci? poi l'offerta di visitare altre case senza poterci entrare dentro mi sembra solo un'ulteriore presa in giro.

Mio marito però è un uomo di sangue freddo che non si arrabbia assolutamente mai. Con una cortesia infinita risponde che sì, siamo felici di visitare i giardini delle potenziali case.

Saliamo in macchina e seguiamo la Pazza, che ci precede con la sua macchina.
La prima proprietà si trova a 25 km dal paese, in mezzo alla foresta. Intendo proprio letteralmente, è stata costruita in una minuscola radura. Attorno, per chilometri e chilometri, ci sono solo alberi e una fittissima vegetazione di sottobosco. Il giardino ( un pezzo di foresta cintata adiacente alla casa) è stato lasciato crescere selvaggiamente dall'attuale proprietario, tanto che, entrando dal cancello, non riusciamo a trovare il sentiero per arrivare alla casa e dobbiamo farci largo tra la vegetazione ipertrofica, stile Indiana Jones in mezzo alla jungla.
La Pazza si è portata dietro il cane, un affarino peloso e minuscolo che, quando non rimane incastrato tra i rami, ci si infila tra le gambe mentre arranchiamo tra la vegetazione, rischiando di farci finire a gambe all'aria.
Quando finalmente riusciamo a raggiungere la casa (il "cottage" come lo chiama la Pazza) scopriamo che è fatto di lamiera, stile favelas. Le tende sono state tirate e purtroppo è impossibile vedere l'interno.
Poi ci racconta che il fiume passa lì vicino, e anzi, perchè non andiamo a vederlo?
Ci conduce dunque giù per un ripido pendio, fino ad arrivare al corso d'acqua che, maestoso e tranquillo, serpeggia in mezzo agli alberi.

Riprendiamo quindi la macchina (dopo esserci persi di nuovo tra gli alberi del giardino), torniamo in paese e visitiamo l'ultima casa (di cui vi risparmio la descrizione).

In realtà non c'è molto da scegliere, la terza casa sarà la nostra casa, nonostante il prezzo folle.
Trasloco tra un mese.